Verdini e i partiti di stampo ottocentesco Facciamo i nostri auguri più affettuosi a Denis Verdini perché tutte le accuse che gli sono state rivolte negli ultimi mesi si rivelino presto una bolla di sapone. Ciò detto, ci è dispiaciuto leggere un suo giudizio improprio sul "Corriere della Sera" di giovedì scorso sui partiti "di stampo ottocentesco", buoni perché ciascun loro appartenente "si possa trovare una sua propria nicchia di potere". Questo quando il partito del 2000 - supponiamo noi – si appresta ad essere una generosa e sacrificata cinghia di trasmissione fra il popolo ed il leader. Il partito di "stampo ottocentesco", per la verità, in Italia in particolare, di nicchie di potere ne aveva poche: soprattutto quelli che Verdini ha frequentato in passato prima della sua irresistibile ascesa in Forza Italia e nel Pdl, si trovarono per quasi tutto l’800 e buona parte del ‘900 all’opposizione, se non in esilio e in clandestinità. I principali partiti britannici dell’800 invece, quello Whig e quello Tory, erano più simili a quello che pensa Verdini, e cioè la loro funzione principale era l’organizzazione del consenso, solo che il sistema di collegi elettorali inglesi rendeva la leadership molto più localizzata di quella che è ora in Italia. E’ vero poi che nella seconda metà del ‘900 molti partiti italiani divennero quello che Verdini descrive, ma questa era una loro degenerazione rispetto alla loro impostazione originaria. Azzerando quei partiti, si è arrivati al modello che Verdini esalta nelle sue eccellenze. Solo che pure questo ha una sua origine per lo meno agli inizi del ‘900. Con delle varianti. Il partito che esalta il rapporto diretto fra leader e popolo è caratteristico del movimento nazionalsocialista in Germania. Il partito fascista italiano era già più articolato. Meglio saperlo e starci attenti. (Voce Repubblicana, 16 luglio 2010) |